Storia della pandemia COVID 19 (parte prima) di Renato Gioja.
Ancora è presto affinché la pandemia COVID 19 possa diventare un doloroso ricordo ma una sintesi di quanto accaduto possiamo già proporla con la speranza che tutto si attenui e con questo virus si possa convivere. Tutto cominciò con la solita notiziola dei telegiornali. C’era una epidemia in Cina ma era successo già altre volte, una notizia come un’altra, ma invece stavolta era più grave e le autorità locali avevano preso decisioni importanti bloccando addirittura un’intera città. E già ci facevano vedere le strade deserte di Wuhan con i suoi grattacieli che ci trasmettevano solitudine e silenzio rendendoci maggiormente partecipi di un problema che comunque si riteneva fosse lontano. Non erano una novità le epidemie in Cina ma fino ad allora avevano riguardato il pollame o i maiali ed ora invece le persone. Comunque la distanza era tale da non doversi preoccupare ed anche questa volta certamente era solo un evento a carattere locale. Ed invece questa volta le strade di Wuhan erano presidiate dall’esercito, addirittura un drone controllava che i pochi passanti indossassero la mascherina e questa volta non era un lontano problema cinese. E quando facemmo anche noi europei l’esperienza del contagio, all’improvviso ci rendemmo conto di quanto il mondo fosse diventato piccolo e quanto fosse vasto il transito di persone e merci per cui bastava un solo portatore per moltiplicare una malattia nel mondo. In genere la Cina era stata molto riservata sulle epidemie ed anche questa volta era stata riluttante nell’informare dell’esistenza del grave problema forse con la speranza che il contagio potesse essere circoscritto ma poi il 31 dicembre 2019 dovettero segnalare all’OMS la presenza di focolai di casi di una polmonite contagiosa di origine sconosciuta ipotizzando potesse provenire dal mercato del pesce o da pipistrelli. L’OMS era quindi a conoscenza del pericolo ed il 30 gennaio 2020 dichiarò la malattia come “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” e solo l’ 11 febbraio 2020 la Cina avvertì che era avvenuto il contagio tra esseri umani. A questo punto era evidente trattarsi di un pericolo a livello mondiale e si scatenarono le polemiche perché l’OMS (di cui la Cina è il maggiore finanziatore) tardava a dichiarare la “pandemia”, cosa che avvenne solo in data 11 marzo 2020. Fece notizia la vicenda della coppia di cinesi provenienti da Wuhan che, giunti ammalati in Italia, il 29 gennaio 2020 erano stati ricoverati allo Spallanzani di Roma dove fu anche isolato il virus. Nell’equipe di biologi che compì l’azione vi era anche una ricercatrice precaria che fu giustamente premiata con l’assunzione. Fu quella un’occasione mediatica che permise al Ministro di turno (che però è stato sempre lo stesso) di mostrarsi in TV per vantare il genio italiano. Ora tutto il mondo sapeva di dover assumere decisioni di salvaguardia ma in Italia eravamo protetti perché al Ministero della Salute vi era un apposito dipartimento di Prevenzione delle epidemie per cui potevamo stare tranquilli ed invece in data 11 marzo 2020 anche l’Italia, seguendo il metodo adottato in precedenti epidemie come ad esempio la “spagnola”, dovette imporre una specie di coprifuoco con il divieto totale di uscita da casa per le persone salvo che per le esigenze essenziali e per il lavoro. Fu definito “lockdown” perché “isolamento” era troppo drastico. Si poteva uscire solo se muniti di autodichiarazione sul motivo dell’uscita e le forze dell’ordine controllavano il documento elevando multe e denunciando gli eventuali trasgressori. Gli scienziati raccomandavano la massima attenzione con obbligo di portare quelle mascherine fino ad allora tipiche dei chirurghi e si impegnavano ad illustrare sul modo corretto di lavarsi le mani. Il sabato tutti sui balconi a suonare ed a salutarsi anche se appena prima ci guardavamo con indifferenza. Lo slogan era “andrà tutto bene”, “ce la faremo” e simili mentre a Bergamo sfilavano i camion con le bare. Il sistema sanitario era al collasso e tanti medici ed infermieri si erano ammalati ed anche deceduti al punto che era stato proposto ai medici in pensione di ritornare in servizio e tanti di loro sono deceduti per questo gesto di solidarietà. Sembrava che l’Amuchina fosse una buona protezione igienica e nei negozi non si trovava più. Le mascherine avevano prezzi esorbitanti, sui telefonini era stata creata l’app immuni per il tracciamento dei contagiati che si dimostrò perfettamente inutile con il diffondersi della malattia. La confusione regnava sovrana e mentre prima conoscevamo chirurghi ed infermieri ora scoprivamo l’esistenza di virologi ed insettivologi sempre presenti in TV. A livello internazionale l’Italia era stata isolata perché ritenuta pericolosa per la diffusione del contagio ma poi si scoprì che il primo portatore del virus era venuto dalla Germania e si erano già avuti casi in Francia dove vi erano stati decessi per misteriose polmoniti forse riconducibili al virus. Sulla pandemia si sapeva poco e si scoprì anche la mancanza di un piano pandemico nazionale che era di competenza del Ministero mentre lo stesso Ministro pubblicava un libro, subito ritirato, perché contenente informazioni e date che avrebbero dimostrato che il contagio era noto già prima del lockdown. In quel periodo di “prigionia casalinga” ognuno aveva cercato di superare l’inedia rifugiandosi in impegni prima trascurati ma la preoccupazione era costante in ogni momento e su quello slogan "andrà tutto bene" incominciavano a sorgere i primi dubbi. Si cominciava a capire che si trattava del solito diversivo per il popolo gregge e credulone. Le notizie diffuse dal mondo scientifico indicavano che il virus colpiva maggiormente gli anziani e così poneva la premessa per una emarginazione per età e generava nei giovani la convinzione di essere immuni dal contagio. Il bollettino quotidiano delle 18 informava sull’andamento dei contagi e sui decessi. In TV appariva lo schieramento al tavolo di vari personaggi tra cui componenti del Comitato Tecnico Scientifico e della Protezione Civile. Montavano le polemiche mentre i malati ed i decessi diventavano ormai un dato statistico. L’isolamento durò circa due mesi in cui si ebbe un susseguirsi di decreti in emergenza per stabilire chiusure ed aperture delle attività commerciali e finalmente il 4 maggio 2020 si poté respirare un po’ di libertà ed allora finalmente tutti a passeggio. L’economia ne aveva bisogno. Ed a scuola? Tutti promossi! Venne poi l’estate e “tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chi..ppe chiare” come se fosse tutto finito. Finalmente “pandemia” sarebbe stata solo una parola apparsa in un brutto sogno, una parola da cancellare ma l’esempio non è bastato.